“Tre per cento”

48 min readJan 20, 2025

Questo è un diario di viaggio di cose interessanti o notevoli viste o successe nel nostro (io, Anna, Davide, Giulio) viaggio di 9 giorni in Islanda. Se avete avuto la (s)fortuna di subire i miei racconti orali alcune cose probabilmente già le sapete, altrimenti vi assicuro che è tutto interessantissimo.

Eccoli qui, i nostri eroi.

In origine l’idea era di fare un viaggio a cavallo delle feste natalizie, da prima di Natale a dopo Capodanno, perché di inverno si vede l’aurora boreale, perché di inverno l’Islanda costa tendenzialmente meno, perché veniva molto comodo a tutti prendersi quei giorni di ferie, ma anche per una forma, conscia o inconscia, di fuga dal turbinio festivo di casa. Vi assicuro che viversi tutto l’anno avendo la risposta già pronta alla domanda “cosa fai a Capodanno?” è tutta un’altra cosa.

Premesse incoraggianti

“Appena usciamo i voli li prendiamo, così costano poco”

Prenotiamo il volo Malpensa-Reykjavik, andata 23 dicembre e ritorno 1 gennaio, a fine marzo. Eravamo sicurissimi di voler arrivare in Islanda il 23 dicembre, sia per avere un giorno in più di vacanza sia perché notoriamente in Islanda alla Vigilia i negozi chiudono presto, e a Natale e Santo Stefano è quasi tutto chiuso: volevamo avere la possibilità di fare un po’ di spesa per avere da mangiare in quei giorni di tutto chiuso e dei pochi ristoranti aperti molto costosi e molto tutto esaurito.

Per questo motivo ci siamo rassegnati a utilizzare due diverse compagnie aeree per andata e ritorno, e abbiamo scelto di fare l’andata con Wizz Air, che partiva il 23 dicembre, e non con EasyJet, che partiva il 24.

Un mese dopo gli amici di Wizz Air ci avvisano che i voli erano stati riprogrammati, e loro sarebbero partiti il 24. EasyJet naturalmente poco dopo ha aggiornato la sua programmazione, e il suo volo del 24 è stato anticipato al 23.

“Appena usciamo i voli li prendiamo, così costano poco”

“Per il 31 prendiamo l’ostello a Reykjavik che costa di meno e conosciamo gente”

Il programma del viaggio (grazie Anna e Davide) l’abbiamo chiuso d’estate. Abbiamo definito tutte le tappe e abbiamo prenotato tutti i posti dove dormire. Gli ultimi giorni, 30, 31 e 1, erano dedicati all’esplorazione di Reykjavik e dintorni, con due notti nella capitale islandese. Visti i prezzi folli decidiamo di prendere una camerata da quattro, siamo in quattro, in ostello. Spendiamo solo 50€ a notte a testa, c’è la cucina, magari incontriamo qualche viaggiatore straniero con cui fare il cenone di capodanno, siamo tutti giovani, etc. etc.

L’ostello ci cancella la prenotazione a metà ottobre.

Prendiamo uno dei pochi hotel ancora liberi che non costassero una follia. Paghiamo comunque tanto, 90€ a notte a testa, colazione non inclusa.

Il 30 dicembre al momento di salire in camera per la prima volta riceviamo la fredda ironia del cartello che annuncia, in inglese e cinese, del divieto di cucinare in camera.

Nell’arco della vacanza nelle uniche occasioni in cui abbiamo rivolto parola ad altri viaggiatori è stato con la frase “sorry, can you…” seguita dallo sventolare del cellulare, nel segnale universale che si traduce più o meno con “che puoi farci una foto grazie?” (letto con accento romano).

Chiedere una foto ad un gruppo di turisti giapponesi non è garanzia di buona riuscita della stessa. Ph. turista ignoto.

“Solo il 3%”

Una sera autunnale mi è venuta la curiosità di indagare i flussi turistici in Islanda, avendo notato su r/VisitingIceland una importante presenza statunitense. In un commovente excel disponibile per il download sul sito dell’Icelandic Tourism Board, excel che se provate ad aprire sul cellulare causa il crash immediato di Google Drive, ho notato stupito che gli arrivi a dicembre via aereo in Islanda di turisti italiani viaggiano attorno al 3% del totale.

Ora: sono andato in vacanza all’estero pochissimo — un paio di estati in Andalusia, un capodanno a Monaco di Baviera, e poco altro — e la prospettiva di essere in vacanza in un posto talmente remoto da ricevere solo il 3% di italiani era esaltante.

Se già alla prima sera qualcuno di noi commentava “tre percento, eh”, come abbreviazione di “mannaggia Fabrizio, per fortuna che non ci dovevano essere italiani!”, dopo qualche giorno il segno del “tre” fatto con le dita era diventata la maniera codificata di fare capire al resto della comitiva che nelle vicinanze era stato avvistato un gruppo di italiani senza svelare la nostra provenienza. Gli ultimi giorni, visti i guanti per proteggere le dita dal gelo, bastava alzare la mano e ci si capiva.

“Se c’è brutto tempo non si può uscire di casa, prepariamoci”

Forti dei mesi di studio e preparazione siamo arrivati a dicembre informatissimi e carichissimi. Particolare apprezzamento per il magnifico road.is, il sito della viabilità islandese dove la dicitura “traffic info” si traduce più o meno con “ecco quanto ghiaccio/neve c’è sopra l’asfalto” oppure con “se fai questa strada non ti veniamo a recuperare fino al disgelo”. Apprezzato anche vedur.is, meno magnifico sito dell’Istituto Meteorologico Islandese, che evidentemente concentra i suoi sforzi non tanto sulla UI/UX dei loro portali quanto sul prevedere il meteo in quella spiritosissima isola, dove se non ti piace il tempo aspetta 5 minuti che cambia.

Gli islandesi la sanno lunga: su road.is puoi anche valutare la percorribilità di una strada guardando quante macchine hanno attraversato determinati punti di controllo negli ultimi 10 minuti e nelle ultime 24 ore.

Come qui in Italia anche in Islanda ci sono tre categorie di allerte: gialla, arancio, e rossa. Come in Italia, gialla significa “Occhio”, arancio è un “Guarda, io non uscirei di casa se fossi in te”, rossa è un solido “No. Nono. Nonono.” La differenza fondamentale è che ad un allerta arancio in Italia ci fai caso se vivi in montagna (o in zone a rischio idrogeologico), in Islanda è come se fossi sempre in montagna.

È con questa premessa che scopriamo il 23 dicembre pomeriggio, a meno di 24 ore dalla partenza, che dal 24 sera al 25 sera un’interessante bufera di neve avrebbe interessato tutto il sud dell’Islanda, allerta arancio. Il 24 sera saremmo quindi atterrati a Keflavik, preso l’auto a noleggio, e guidato per quasi due ore fino alla cittadina di Selfoss con allerta arancio e strade dalle condizioni incerte.

Qui eravamo appena prima del tratto brutto. La strada è quella tra i paletti. Ph. Anna

Alla fine il viaggio lo abbiamo fatto prima che la bufera diventasse veramente bufera. Le condizioni della strada erano da bloccaggio ABS immediato nonostante le ruote chiodate, ma tutto sommato niente di ingestibile. Abbiamo anche scoperto che è meglio guidare sul ghiaccio che sulla neve, e che se ci credi veramente puoi sorpassare agli 80 all’ora anche nella situazione della foto.

Natale a Selfoss • Giorni 1–2

Selfoss, con i suoi 9.349 abitanti, è l’ottava località dell’Islanda per numero di abitanti. È una tranquilla cittadina costruita sul fiume Ölfusá, che è attraversato dal ponte che costituisce la via principale di ingresso in città. La guida Lonely Planet descrive Selfoss come una località ideale per fermarsi a fare rifornimento di carburante e viveri sulla Hringvegurinn (Ring Road, in inglese), aggiungendo che le uniche altre cose interessanti da fare sono visitare la tomba di Bobby Fischer (che è una lapide), oppure giocare a scacchi con gli appassionati locali al Bobby Fischer Center. Perché Selfoss sia stata scelta come luogo di eterno riposo dal disgraziato scacchista non è noto.

La sera del 24 dicembre Selfoss ci ha riservato un’accoglienza piuttosto fredda, nel senso che non c’era anima viva in giro, c’era vento, e nevicava quella neve che è più mini-grandine che i gioiosi fiocchi a cui siamo abituati qui al sud.

Infreddoliti e mezzi influenzati (Vivin C sponsor di questo racconto) ci siamo confortati con dei provvidenziali tortellini Conad in brodo di dado. Ci eravamo portati anche del tonno in scatola e della pasta, ma in assenza di sale (il cottage affittato aveva come unica dotazione di cucina una sospetta bottiglia di olio di oliva) abbiamo optato per il più tradizionale tortellino della Vigilia.

Anna il 23 dicembre

Dopo cena, esaltati dal fatto di essere in Islanda, abbiamo fatto un giro per il paese, sfidando il vento e la neve. Il primo incontro con degli esseri umani nella selvaggia Islanda è stato subito fuori dal cottage, parte di un gruppo di quattro o cinque graziosissime costruzioni di legno, dove abbiamo incrociato due persone che stavano rientrando al chiuso dopo aver parcheggiato l’auto. Erano italiane, come erano italiani gli occupanti dell’unico altro cottage con le luci accese. Tre percento.

Aprendo l’acqua calda siamo rimasti sorpresi dalla temperatura (molto alta) e dall’odore (molto brutto). In Islanda infatti in molti posti l’acqua calda sgorga naturalmente dal terreno. È come farsi docce termali tutti i giorni, in pratica. Puzza ma dopo un po’ ci si abitua.

Caratteristica via secondaria di Selfoss come appare alle 22 del 24 dicembre.

Erbil Kebab

Nella Selfoss delle 22:00 l’unica cosa che — oltre all’occasionale fuoristrada che sfrecciava sulla strada principale coperta di neve — tradiva dell’attività umana era Erbil Kebab. “Un kebab in Islanda, maddai, dobbiamo provarlo”, mezzo scherzando. “Vabbè, ma di sicuro domani, Natale, saranno chiusi”. Siamo entrati e abbiamo chiesto, “are you open tomorrow?”. Il ragazzo alla cassa ha pronunciato le parole “yes, 10 to 22” con un certo sconforto: non siamo stati in grado di capire se dovuto da (1) il turno lavorativo natalizio, (2) dal pulmino di turisti giapponesi in coda per ordinare, (3) dalla consapevolezza che le 22 erano passate e che il locale sicuramente non si sarebbe svuotato a breve. Il giorno dopo ci siamo tornati davvero, per fare il pranzo di Natale, e siamo tutti stati sinceramente colpiti dalla bontà di quello shawarma, che è stato nella migliore tradizione kebabbara il pasto più economico in assoluto, solo 20€ a testa (bevande escluse).

Best pranzo di Natale ever, con la neve fuori.

Proseguendo nella nostra esplorazione serale siamo arrivati a quello che abbiamo riconosciuto essere il “centro” di Selfoss. Oltre alla statua di un tizio di cui non si leggeva il nome, in prossimità della via principale c’era un cartello informativo in cui l’amministrazione comunale annunciava orgogliosa il piano di riqualificazione del centro storico, con tanto di rendering della futura piazza del paese. Nella recentemente riqualificata via principale c’era una situazione di forte vento che è meglio spiegata dal video.

Gli unici altri disgraziati presenti in quel luogo in quel momento erano, indovinate, italiani. Preso abbastanza freddo siamo rientrati in casa.

Italiani con statua di Islandese sconosciuto. Selfoss, 2024. Ph. Anna.

Gleðileg jól!

Il giorno dopo siamo abbiamo fatto colazione alla reception del campeggio. Non era propriamente colazione perché, come spiegato al momento della prenotazione, di inverno offrono solo il caffè. Ce lo siamo fatti andare bene lo stesso, e abbiamo rinforzato con dei biscotti acquistati a peso d’oro il giorno prima in aeroporto a Keflavik. Ne sono avanzati, li abbiamo messi da parte per la mattina successiva. La signora della reception è stata molto gentile: oltre ad averci spiegato che “con questo tempo non si va in giro, eh” ha acceso il caminetto della reception per noi. Il caminetto in questione era una cosa simile a questa ma con musica natalizia islandese. Abbiamo comunque apprezzato molto. Confermato che l’allerta meteo era reale, e che il piano originale della giornata che prevedeva il tour del golden circle (Gullfoss, Þingvellir, Geysir) era ormai saltato, siamo tornati in cottage.

Il caminetto in questione sullo sfondo. Ph. Anna

Poco dopo l’alba, verso le 11:30–12, ci siamo bardati per incamminarci verso il nostro pranzo di Natale, da Erbil Kebab. Pranzo ottimo, come già raccontato. Usciti dal locale abbiamo deciso di fare quattro passi all’aria aperta per favorire la digestione, e anche per vedere Selfoss con la luce, vista la momentanea calma meteorologica.

Gatto delle nevi! Foto fatta 10 minuti prima a 200 metri in linea d’aria dal video precedente. Tempo mattacchione! Ph. Davide

Sapendo della passione degli islandesi per il Natale abbiamo deciso quel pomeriggio di guardare un po’ di TV. Sulla RÚV (la tv pubblica) davano il film “Dóttir jólasveinsins”, “la figlia di Babbo Natale”, di cui non abbiamo capito la trama perché non c’erano i sottotitoli inglesi. Su un altro canale, Stöð 2, c’era Notting Hill, in inglese sottotitolato islandese. Ci è voluto un bel po’ per renderci conto che (1) il nome completo del canale era Stöð 2 Vìsir, che significa più o meno “Stöð 2 Anteprima”, e (2) che il fatto che il film fosse interrotto ogni 5 minuti da delle grafiche meteo per tutte le principali località islandesi (10 minuti totali) e dallo stesso promo della stessa docu-serie sull’evacuazione di Grindavik (5 minuti totali), non fosse una bizzarra usanza islandese ma una normale trovata commerciale islandese.

Messo da parte Notting Hill alcuni di noi (tutti tranne me, invero) hanno deciso di mettere in pratica il consiglio della signora della reception, “sul terrazzino avete la hot tub, quando si abbassa il vento usatela, mi raccomando!”.

Questa è la canzone di Natale del secolo.

Hot hot hot

Dell’esperienza hot tub a Selfoss, o meglio dell’esperienza di assistere all’esperienza hot tub a Selfoss di qualcun altro, mi sento di fare un racconto per immagini:

Fase 1: togliere neve e aprire vasca. Notare la tecnica.
Fase 2: aspettare che la vasca si riempia e prepararsi adeguatamente. Ph. Anna
Fase 3: farsi fotografare male dal sottoscritto.

Unico altro paragrafo che mi sento di dedicare alla nostra esperienza a Selfoss è il pittoresco Selfoss Kirkjugarður, letteralmente “Giardino della Chiesa di Selfoss”, aka il cimitero.

In Islanda (e anche in altri posti nordici, mi dicono) c’è questa cosa che le tombe le decorano con le lucine colorate. Il risultato è notevole.

Ph. Me.

26 dicembre: il giorno che abbiamo scoperto gli Smash • Giorno 3

Menù della giornata: Seljalandsfoss, Skogafoss, Reynisfjara, Cavalli.

“Oh ragazzi, è il 26 dicembre, oggi possiamo fare un po’ di spesa e mangiare in giro facilmente!”. Mezz’ora dopo siamo usciti di casa e ci siamo recati davanti davanti all’unica bakari (fornaio) segnalata come aperta in quel momento su Google Maps. Era chiusa.

Finiti i biscotti avanzati dal giorno prima ci siamo fermati a fare colazione per strada, in questo posto:

American Schoolbus Cafè, a Hella. Ph. Anna

American Schoolbus Cafè è un nome piuttosto autodescrittivo: è una caffetteria organizzata interamente in uno scuolabus americano. No, non sappiamo come fa il barista ad andare in bagno; la nostra ipotesi è che utilizzi i servizi igienici delle vicine Grotte di Hella, che sono un misterioso complesso di grotte scavate dall’uomo non si sa come, perché o quando. Le Grotte di Hella non le abbiamo visitate.

Dentro lo school bus. Ph. Davide

Mentre finivamo i caffè e i muffin seduti nel bus sono entrate nel parcheggio (ie: nel campo totalmente ricoperto di neve accanto al bus) due auto, in posizione strategica per rendere la mia manovra di uscita il più fastidiosa possibile. Mentre ci apprestavamo a scendere dall’American Schoolbus Cafè dal suo ingresso naturale, ostacolati dalla tentata salita dei 10 arditi parcheggiatori, abbiamo capito tutto ascoltando i commenti meravigliati di quest’ultimi e rendendoci conto che stavamo parlando la nostra stessa lingua. Siamo scesi sgomitando, borbottando “tre percento”.

Autobus saturato da turisti italiani. Ph. Io.

Seljalandsfoss

Guidare in Islanda di inverno mentre il cielo di fa gradualmente più chiaro, è un’esperienza molto particolare. Si vedono piano piano i contorni delle montagne emergere dal buio della notte e le distese di neve e ghiaccio rivelare la loro natura di piattissime pianure alluvionali. Al ghiaccio sull’asfalto ci si abitua, e dopo un po’ l’unica cosa che ti distoglie dal paesaggio che si distende oltre a queste strade lunghissime e drittissime è l’occasionale auto che incroci — che nonostante la quantità notevole di turisti in giro sono comunque poche, viste le distanze.

Il massiccio dell’Eyjafjallajökull (sì, è quel Eyjafjallajökull) emerge dalla nebbia, la mattina del 26 dicembre. Ph. Anna.

Se c’è una cosa che in Islanda non manca, oltre al ghiaccio, le strade desolate ed i vulcani chiudi-spazio-aereo, sono le cascate e i turisti che le visitano.

Cascata con turisti. Ph. io.

Seljalandsfoss è una di queste. Il salto di 60 metri è dovuto al fatto che il fiume Seljalandsá, uno dei tanti che nasce dal ghiacciaio Eyjafjallajökull, ad un certo punto del suo percorso cade giù da un dirupo, da cui il termine “cascata”. Il dirupo in questione, che è la “scarpa” del massiccio dell’Eyjafjöll, un tempo era una scogliera sull’oceano, finché un po’ alla volta i sedimenti hanno creato la vastissima pianura alluvionale tra le tante che caratterizzano l’Islanda meridionale.

Il ghiacciaio Eyjafjallajökull è il più piccolo dei cinque grandi ghiacciai islandesi, ed è forse proprio per questo che nel 2010, dopo 187 anni di quiescenza, decise di balzare agli onori delle cronache mondiali eruttando e inondando di cenere lo spazio aereo europeo, costringendo a terra tutti i voli dal 15 al 23 aprile 2010.

Il parcheggio si pagava, 1000 corone, 7€, come tutti gli altri parcheggi turistici in Islanda. La cascata era molto bella, ad un certo punto abbiamo fatto la cosa del “sorry, can you…”+agitare in aria il telefono, e il risultato è stato questo:

Cascata con Anna, Davide, Io, Giulio. Noterete da questo punto in avanti la graduale riduzione di vestiario invernale indossato. Ph. Ignoto

Skógafoss

Ripartendo da Seljalandsfoss in direzione di Skogafoss, tappa successiva nella serrata tabella di marcia giornaliera, la silenziosa contemplazione mattutina del paesaggio è stata interrotta dal primevo urlo “cavalliii!!!” di Anna. Ci siamo fermati a bordo strada per farci mangiare i guanti dai cavalli.

Cavallo con sole e cacca — Naso di cavallo — Cavallo con Anna. Ph. Varie.

Giorni dopo abbiamo scoperto che generalmente i proprietari dei cavalli non sono super-felici di avere frotte di turisti che vanno a disturbare le loro preziose bestie. Ma vabbè, ormai era troppo tardi, e comunque altri cavalli non ne abbiamo incontrati.

Quello che abbiamo incontrato è un’altra cascata, Skogafoss.

Skogafoss. Ph. Anna

Come la sorellina Seljalandsfoss anche Skogafoss è fondamentalmente un fiume, lo Skógaá, che inciampa giù da un dirupo. Nonostante l’islandese non sia una lingua semplicissima, è facile intuire che foss significa “cascata” (e á è una desinenza magica che caratterizza i fiumi).

Alta più o meno come Seljalandsfoss è notevolemente più grossa, e, bonus, è possibile percorrere un sentiero che risale tutti i 60 metri fino alla cima. La scaletta è preceduta da una salitella su terreno, ghiacciato vista la stagione. Visto il ghiaccio io e Davide ci siamo goffamente infilati i ramponi, per scoprire di li a 20 metri e fino alla fine del percorso il sentiero era in realtà una molto poco scivolosa — e molto poco adatta a dei ramponi d’acciaio — scaletta in metallo. Abbiamo rischiato di ammazzarci incastrandoci nei buchi dei gradini ma siamo arrivati in cima.

Il fiume Skógaá si fa strada per la vasta pianura alluvionale. Ph. Io.

Prima di lasciare Skogafoss Giulio ha deciso di rendere indimenticabile la sua visita a questo stupendo monumento naturale mettendo il piede dove non doveva e sprofondando fino allo stinco in una pozzanghera ghiacciata — cioè acqua molto fredda ricoperta da un sottile strato di ghiaccio — nel parcheggio. Quello scarpone è rimasto bagnato per due giorni. La tradizione vuole che appoggiando quello scarpone all’orecchio puoi ancora oggi sentire il rumore di Skogafoss.

Sneaker waves

Reynisfjara (“Spiaggia di Reynis”), detta anche Reynisfjara Beach (“Spiaggia di Spiaggia di Reynis”), o Black Beach per i turisti che non sanno pronunciare Reynisfjara, è una spiaggia nera. È vero che le spiagge nere ci sono anche in Italia, però le spiagge islandesi sono speciali per vari motivi. Innanzitutto sei in Islanda, mica a Maratea; in secondo luogo il paesaggio è notevole; infine se sei fortunato puoi farti grasse risate ammirando i turisti che fanno il grave errore di dare le spalle all’oceano. A Reynisfjara, infatti, l’Oceano Atlantico è come le tigri: ti attacca quando gli volgi le spalle.

È scritto chiaro e tondo sui cartelli: never turn your back to the ocean. Ph. me.

È il fenomeno delle cosiddette “sneaker waves”, non mode calzaturiere ma onde grosse e potenti che possono facilmente atterrare un uomo adulto e trascinarlo nell’oceano, che specialmente d’inverno non è un posto adatto alla sopravvivenza umana.

Abbiamo chiesto ad una turista orientale di farci fare una foto contro le meravigliose scogliere basaltiche della spiaggia. La turista che ci ha fatto la foto secondo me non parlava inglese, ma è proprio per questo che oltre a dire “sorry can you take a photo?” devi agitare il telefono in direzione della persona a cui stai chiedendo la foto.

Giulio, Io, Davide, Anna. C’era vento. Ph. turista orientale

Poi abbiamo fatto delle foto noi alle scogliere basaltiche.

Sullo sfondo un famoso faraglione fallico di cui non ricordo il nome. Ph. Fab.

Tra le altre cose Anna è stata attaccata da una sneaker wave mentre tentava di immortalare l’attacco della stessa wave a dei turisti ignari. Sta bene.

Smash

Ripresi dallo shock delle sneaker wave con un pranzo al tramonto a base di fish&chips (erano le 14) ci siamo incamminati verso Vík í Mýrdal, Vik per gli amici, per fare benzina e un po’ di spesa.

Io mi ero messo in valigia un pacco di pasta Rummo, che “chissà che pasta si trova in Islanda”:

459 corone sono tipo 3,16 €. Ph. io

Highlight della spesa: gli Smash. Gli Smash sono in pratica dei Virtual ricoperti di cioccolato. Li abbiamo presi un po’ per scherzo, “chissà quanto fanno schifo”, in realtà sono la forma di patatine in busta più buona concepita dall’essere umano.

Smash acquistati al Kronen di Vik. Ph. io

Non sono così salati e speziati come i Virtual, ma comunque il sapido della patatina c’è, e si sposa sorprendentemente bene con la generosa copertura in cioccolato al latte (cacao 5%, livello kitkat). Unico rimpianto del viaggio: non essermene riempito la valigia al ritorno.

Gli Smash sono stati consumati come aperitivo di una cena a base di stupenda pasta (Rummo) al tonno (Rio Mare) presso il nostro cottage di Kirkjubæjarklaustur. Kirkjubæjarklaustur, “kirkjubaejarcoso” per gli amici, è un insediamento umano all’ombra di un imponente dirupo, famoso per il convento (klaustur) e per un sentiero naturale fatto di rocce basaltiche esagonali. Inoltre nel bel mezzo di Kirkjubæjarklaustur c’è, tanto per cambiare, una cascata.

Foto presa da internet.

Siamo arrivati col buio, dovevamo mangiare la pasta al tonno e gli Smash, quindi non abbiamo avuto tempo di visitare Kirkjubæjarklaustur. A onor del vero il nostro cottage non era proprio Kirkjubæjarklaustur ma in un campeggio a 10 km dalla “vera” Kirkjubæjarklaustur, quindi non ci è neanche venuta questa gran voglia di andare a visitare Kirkjubæjarklaustur e le sue attrazioni.

Durante il giro docce quotidiano ero fuori sul terrazzino del cottage a fumare sotto una fastidiosa pioggia (eravamo sotto zero ma a Kirkjubæjarklaustur pioveva, ok) quando ho sentito provenire dal vialetto del cottage alla mia destra un “ooops” + sonoro tonfo + imprecazione in una lingua straniera, e mi sono fatto la nota mentale di stare attento ad uscire di casa la mattina successiva.

Mentre riflettevo su quanto fosse facile distinguere le imprecazioni anche nelle lingue straniere di fronte ai cottage alla mia sinistra hanno parcheggiato due Dacia Duster, da cui hanno iniziato a scendere con gran trambusto 10 persone e le loro valigie. Scivolando e arrancando sui vialetti ghiacciati si sono fatti strada, parlottando in una lingua che stavo iniziando a riconoscere, verso i rispettivi cottage, quando il capo-comitiva ha iniziato a urlare: “Allora regà, me raccomando, scaricate i bagagli e basta, mo’ sono le 19 alle 19:30 pun-tu-a-li vi voglio in macchina che dobbiamo andare a magnà a Kirkjubæjarklaustur, ok?”. Eccoci, tre percento.

(In realtà il capo-comitiva non ha detto “Kirkjubæjarklaustur”, ce l’ho messo io perché era da un po’ che non lo scrivevo)

Come cucinano gli italiani, eh. Ph. me.

Finita la pasta al tonno, accompagnata da una bottiglia di un insipidissimo Rioja bianco acquistata alla reception del campeggio (per la modica cifra di 31€), abbiamo sfruttato al meglio la smart tv del cottage guardandoci Harry Potter e la Pietra Filosofale in lingua originale. Tutti abbiamo concordato su quanto fosse migliore la versione originale rispetto a quella doppiata. Giulio ha proposto di guardare la Camera dei Segreti la sera dopo, ma secondo noi era un tipico scherzo alla Giulio e in realtà la Camera dei Segreti non voleva guardarla per davvero.

Siamo andati a dormire riflettendo sul fatto che, tendenzialmente, in Italia è difficile trovare vino non italiano. In Islanda c’era, nei ristoranti e nei locali, una vastissima scelta di vini francesi, italiani, spagnoli, sudamericani, californiani, mentre in Italia c’è questa cosa che il vino buono lo facciamo solo noi, e il resto è vino per piatti e quindi non provo neanche a vendertelo. Sì, ok, il Rioja di Kirkjubæjarklaustur era acqua colorata, però dai, eh, no?

La mattina successiva ci siamo svegliati, abbiamo fatto colazione e caricando la macchina siamo scivolati sul vialetto di ingresso del cottage. Abbiamo imprecato in italiano e ci siamo messi in marcia alla volta di Skaftafell.

Kirkjubæjarklaustur si pronuncia “chirchiubaiàr-clùstur”.

Ciao mamma sono su un ghiacciaio • Giorno 4

Siamo partiti prestissimo, ore prima dell’alba, alle 8:30.

Mia Instagram Story spiritosa. Ph. me.

Il programma della giornata prevedeva l’unica cosa prenotata e non rimandabile: l’escursione guidata sul Falljokull, una delle propaggini meridionali dell’immenso Vatnajökull, il ghiacciaio più esteso d’Europa. Il tempo è stato clemente e l’escursione non è stata annullata. A seguire cascate assortite e pernottamento presso hotel bello.

Piccozza, fucile e occhiali

Il Vatnajökull è un ghiacciaio immenso. È fondamentalmente la grande macchia bianca nella parte sud dell’Islanda che si vede aprendo una qualsiasi mappa. Costeggiandolo a sud ci vogliono due ore di auto per superarlo. Sotto il Vatnajökull c’è tutta una serie di vulcani subglaciali, che hanno una modalità di eruttare molto spiritosa: scaldano il ghiaccio da sotto, creano una laguna subglaciale di acqua e detriti, e quando la laguna raggiunge un certo livello scolma e si riversa sulla pianura verso il mare, devastando tutto quello che incontra sul cammino. Il nome di questo fenomento è jökulhlaup, che in origine identificava solo le famigerate inondazioni nella zona del Vatnajökull ma oggi è usato per descrivere i fenomeni simili in tutto il mondo.

Dopo averci dotato di caschetto, ramponi, piccozza e imbracatura — “non facciamo cordata, è solo per afferrarvi facilmente in caso mettiate il piede nel posto sbagliato” — la guida ci ha spiegato che dopo un breve trasferimento in pullman saremmo saliti sul ghiacciaio Falljokull, pronunciato “Fat Yogurt”, e che era necessario seguire l’indicazione delle guide e non prendere e andarsene in giro da soli durante l’escursione. Salendo sul pullman insieme al resto della comitiva, una trentina di persone in totale, abbiamo attivato le antenne per rilevare tracce di tre percento, senza trovarne.

La prima cosa da fare per fare un’escursione sul ghiacciaio è salire sul ghiacciaio, letteralmente bisogna risalire l’ammasso di rocce e detriti che ricopre il margine inferiore della lingua glaciale. I ghiacciai infatti nel loro lento scorrere a valle si trascinano giù dette rocce e detriti, sminuzzandoli e creando — quando poi si ritirano — le caratteristiche collinette riconoscibili, per esempio, nella zona delle Colline Moreniche del Garda.

La montagna sullo sfondo è il margine destro della valle glaciale, le montagnette nere al centro, con dietro il ghiaccio, sono la morena terminale del ghiacciaio, su cui saremmo risaliti pochi minuti dopo questa foto. Ph. me

Risalendo le morene ci siamo accorti che un po’ alla volta il terreno sotto i nostri piedi smetteva di essere terreno ed iniziava ad essere ghiaccio.

Salendo sul ghiacciaio, foto fatta guardando a valle. Ph. Davide

Ad un certo punto era tutto ghiaccio.

In lontananza una “icefall”, una cascata glaciale. Tanti crepacci e seracchi! Ph. me.

L’obbiettivo dell’escursione era una grotta di ghiaccio, battezzata “Marco Polo”, ma la nostra saggia guida Maksim, vista la coda per entrare nella grotta, ci ha portato a monte, verso la icefall, per fare un giro tra i crepacci. Grazie Maksim, è stato molto bello. Mentre salivamo a quota crepacci abbiamo incrociato un gruppo che scendeva. Un ragazzo del gruppo aveva un giaccone Napapijri di quelli senza cerniera. L’ho guardato con sospetto, e stavo per dire “Ma non è che…” che lui mi ha anticipato e ha richiamato l’amico con un sonoro “Uà!”. Tre percento.

Dentro il crepaccio. Ph. Anna

Poi siamo andati nella grotta di ghiaccio, tecnicamente un moulin (dal francese), un buco nel ghiaccio scavato dall’acqua. Bello, molto bello, ma secondo me meglio i crepacci.

Anna e Giulio risalgono il moulin. Ph. Davide
Questa foto è la risposta alla domanda: “cosa vedi se guardi in alto da sotto il ghiaccio se il ghiaccio è sottile”. Ph. me

Chiacchierando con la guida Maksim ci ha raccontato che oltre a fare la guida per quelli che come noi fanno il giro turistico sul ghiacciaio, si occupa anche di portare gente più esperta in cima alle montagne della zona, che rispetto alle Alpi sono tendenzialmente più basse, sui 1500m, ma che a differenza delle Alpi si ergono dal livello del mare e non ci sono rifugi, quindi devi farti in giornata 1500 metri su e 1500 metri giù. Tosta.

Maksim ci ha anche ricordato che in quel momento eravamo a qualche decina di metri sopra al livello del mare, nonostante fossimo su un ghiacciaio. Terra magnifica, l’Islanda.

Scendendo dal ghiacciaio si è aperto un varco tra le nubi e per la prima volta abbiamo visto del cielo azzurro islandese. La laguna glaciale riflette il cielo, sullo sfondo si estende il desolato e pianeggiante sandur glaciale, e in lontananza l’Oceano Atlantico.

Scendendo dal ghiacciaio. Ph. me.

Il centro escursioni da cui siamo partiti era situato a Skaftafellsstofa, un grosso centro visitatori da cui partono numerosi sentieri ed escursioni nella zona di Skaftafell. Tra questi anche la camminata fino a Svartifoss, una cascata, che abbiamo intrapreso tornati dal ghiacciaio e restituiti piccozza, ramponi e caschetto.

Siamo partiti che stava iniziando a nevicare, abbiamo raggiunto il punto di osservazione sulla cascata e siamo rimasti senza fiato. Io letteralmente. Apprezzata la bellezza di Svartifoss dalla distanza ho salutato i miei compagni di viaggio e sono rientrato all’auto in solitaria, lasciando a loro il piacere di scendere giù ai piedi della cascata.

Svartifoss da lontano. Ph. me
Svartifoss da vicino. Ph. Anna

Le due foto sopra sono scattate a distanza di 5 minuti. Letteralmente, 5 minuti prima nevicava fortissimo, 5 minuti dopo ha smesso completamente.

Rientrando alla macchina ho incontrato, sorpresa!, un’altra cascata, Hundafoss. Più piccola ma comunque caratteristica.

L’altra cascata, Hundafoss. Ph. io.

Recuperata tutta la comitiva ho messo in moto l’auto e siamo ripartiti, alla volta dell Fosshotel Glacier Lagoon.

Aurora, sei tu?

Il Fosshotel Glacier Lagoon è un elegante e caratteristico hotel costruito in mezzo al nulla ai piedi del Öræfajökull, ghiacciaio-vulcano che costituisce la propaggine meridionale del Vatnajökull. Il Fosshotel Glacier Lagoon offre ai suoi ospiti anche delle hot tub, occasione che abbiamo sfruttato immediatamente: scarica bagagli, fai check in, entra in camera, metti costume e accappatoio, scendi giù di sotto.

Questa volta nell’hot tub ci sono entrato anch’io, e devo dire molto bello. La situazione era: acqua calda, immersi fino al collo, all’aperto con il vento che ogni tanto tirava una gelida sferzata. Mentre fantasticavamo su quello che avremmo mangiato a cena nell’elegante ristorante, nella grande vasca è entrato un gruppo di giovani turisti, che si sono messi a conversare tra loro, in un affascinante misto di francese e inglese. “Ah! sono canadesi!” ci siamo detti, ed effettivamente pare che a Montreal (e solo a Montreal) la situazione linguistica favorisca questo fenomeno di code-switching aggressivo tra inglese e francese. Avremmo potuto attaccare bottone e chiedergli se erano effettivamente canadesi, ma non l’abbiamo fatto.

“Fammi una foto con l’Islanda sullo sfondo”. Ph. Dab

Quello che invece abbiamo fatto è stato andare a cena. Ristorante ottimo, e alla fine prendendo un piatto e un dolce abbiamo speso meno di 80€ a testa. Ci hanno salvato soprattutto il pane con burro gratis incluso nella cena e l’acqua, che in Islanda è sempre e ovunque di rubinetto, buonissima e gratuita.

Mentre cenavamo abbiamo iniziato a fare i conti con l’aurora boreale: tenevamo d’occhio i siti e le app specializzate da qualche giorno, e quella sera, per un combinato disposto di cielo sereno, hotel disperso nel nulla, e previsioni del campo magnetico incoraggianti, pareva ci fossero concrete possibilità di vedere qualcosa.

L’aurora boreale è un fenomeno interessante. La maggior parte della superficie terrestre è ben protetta dal vento solare — che è il nome umano per il flusso costante di elettroni e protoni emessi dal sole che bombarda costantemente la Terra — dal campo magnetico terrestre. A causa della sua geometria gli unici punti in cui le particelle riescono a raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera sono solo nei dintorni dei circoli polari. Qui le particelle cariche si schiantano a velocità notevoli (centinaia di km/s) contro la ionosfera (100–500km di altitudine). Gli scontri tra le molecole dell’atmosfera e le particelle del vento solare causano l’emissione di luce: rossa e verde per l’ossigeno, e rosso, blu e violetto per l’azoto.

Dopo cena siamo usciti a prendere un po’ di freddo e ad osservare il cielo, veramente buio e stracolmo di stelle. Dopo una mezz’oretta di intenso scrutare e di foto a lunga esposizione con il cellulare abbiamo decretato che no, quella sera non c’era niente da vedere e siamo rientrati. Confidavamo anche nel comodo servizio Aurora Alert fornito dal Fosshotel: se nell’arco della nottata si vede l’aurora dall’hotel ti svegliano. Non abbiamo capito come funzionasse (c’è un omino addetto a sorvegliare il cielo? hanno le telecamere? boh), ma ci siamo iscritti.

Giorni dopo, riguardando le fotografie, ci siamo accorti che effettivamente qualcosa da vedere c’era. Non abbastanza per l’Aurora Alert, evidentemente.

Ricordo distintamente di aver riguardato questa foto subito dopo averla scattata e di aver detto “no, non si vede niente”. E invece, era proprio li. Ph. io.

Il cielo comunque era molto buio e molto bello.

Foto a lunga esposizione. Notare Orione e la sua nebulosa, sulla sinistra, visibili anche a occhio nudo. Ph. Anna e il suo cavalletto

Il fiume più corto d’Islanda • Giorno 5

Al quinto giorno di viaggio, dopo quattro giorni di spostamenti verso est, abbiamo girato la prua e abbiamo iniziato il percorso che ci avrebbe riportati a ovest. Ma prima Jökulsárlón.

Jökulsárlón

Jökulsárlón significa “laguna glaciale”, ed effettivamente è una laguna glaciale, la laguna glaciale. Le acque provenienti dal ghiacciaio Breiðamerkurjökull si raccolgono in questa laguna, che oltre ad essere piena di acqua è anche piena di giganteschi iceberg, che si staccano dal Breiðamerkurjökull e seguono il flusso d’acqua verso l’Oceano. Il lago e l’Oceano Atlantico sono collegati dal fiume Jökulsá á Breiðamerkursandur, che con i suoi 500 metri è il fiume più corto dell’Islanda.

Jökulsárlón, in lontananza sulla destra la lingua del ghiacciaio Breiðamerkurjökull. Ph. io

Sebbene il lago e i suoi iceberg siano una vista spettacolare sono il sintomo del galoppante scioglimento dei ghiacciai che piaga tutte le grandi calotte glaciali islandesi. La laguna, che è la laguna più grande del paese, si è formata solo una settantina di anni fa, e da allora è cresciuta e cresce ancora a dismisura. Lo Jökulsá è sempre più corto, e se oggi è lungo 500 m nel 1989 era lungo 1,5 km.

Il fiume Jökulsá visto dalla spiaggia (sx), noi con un pezzo di ghiaccio (dx). Ph. io (sx), turisti vari (dx)

Alla foce del fiume succede quella cosa che si chiama Diamond Beach: gli iceberg, una volta che riescono ad uscire dalla laguna, sono relativamente piccoli, si frammentano ulteriormente e vengono depositati dalle onde sulla spiaggia circostante. È un posto molto scenografico, ma la sua bellezza è oscurata dalla laguna che c’è dall’altra parte del fiume.

Diamond Beach. Ph me (sx) Anna (dx)

Abbiamo anche visto delle foche. Abbiamo provato a fotografarle ma, incomprensibilmente, se provavi ad avvicinarti al punto in cui stavano nuotando si immergevano e sparivano.

Foca da molto lontano. Ph. io.

Lasciataci alle spalle la bellezza mozzafiato di Jökulsárlón abbiamo finalmente iniziato a spostarci verso ovest. Giro di boa!

Time lapse che non riesce a trasmettere la bellezza di un viaggio in auto sulla ring road, a sud del Vatnajökull. Vd. Anna

Justin Bieber?

Lonely Planet descrive Fjaðrárgljúfur come un bellissimo canyon situato nei pressi di Kirkjubæjarklaustur, creato dall’erosione della palagonite lavica da parte del fiume Fjaðrá (Fjaðrárgljúfur significa “canyon del (fiume) Fjaðrá”, Fjaðr (feather) significa “piuma”, quindi in totale “canyon del fiume delle piume”).

Un tempo sconosciuto è diventato famoso Justin Bieber ci ha girato il video di I’ll Show You. A quanto pare l’ente per la protezione ambientale islandese, esasperato dalle ondate di visitatori che calpestavano la delicata flora locale e che rischiavano di fare capitomboli di decine di metri per ricreare le scene del video, chiuse completamente l’accesso al pubblico per alcuni anni. Oggi Fjaðrárgljúfur è visitabile, e anche se è fuori dalle tradizionali rotte turistiche ci sono un parcheggio (1000 ISK, 7€) e dei servizi igienici, ed effettivamente si capisce perché Bieber lo abbia scelto come location per un video. E sicuramente d’estate è ancora meglio.

Noi con Fjaðrárgljúfur. Ph. gentile turista (sx) e drone di Davide (dx)

Appena atterrato il drone artefice della foto di destra si è avvicinata a noi una guardacaccia che stava pattugliando il sentiero. Si è presentata e ci ha fatto presente che, pur essendo Fjaðrárgljúfur un terreno privato, quindi su cui era consentito far volare droni, lei ce lo sconsigliava perché rischiava di disturbare l’avifauna. Però comunque ci incoraggiava a farlo volare, perché non era vietato. Non abbiamo capito quali erano le sue vere intenzioni, per essere sicuri abbiamo messo via il drone.

Come tutto in Islanda anche Fjaðrárgljúfur ha una cascata: non l’abbiamo vista perché eravamo stanchi ed era lontana e in salita, quindi siamo ripartiti in direzione casa.

Crazy Vìk Nights

Il pernottamento quella sera era in una specie di ostello con appartamenti nei pressi di Reynisfjara, ad un tiro di sasso da Vík.

Vík í Mýrdal è un piccolo villaggio di pescatori schiacciato tra il ghiacciaio Mýrdalsjökull e l’oceano. Sotto il ghiacciaio c’è Katla, un vulcano abbastanza cattivo protagonista tra le altre cose dell’omonima serie Netflix (consigliatissima). La serie è ambientata proprio a Vík!

Il giorno 5 era il compleanno di Giulio e già nel programma della serata c’erano due attività speciali che non vedevamo l’ora di fare:

  • vedere l’aurora;
  • un’attività segreta che sapeva solo Anna.

Per prepararci adeguatamente abbiamo fatto la spesa di nuovo nello stesso posto dove l’avevamo fatta qualche giorno prima (Smash presi) e abbiamo mangiato la pizza con la crosta nera da Black Crust Pizzeria (“locale che fa le pizze con la crosta nera”), a Vìk. Avevamo molta voglia di pizza e le pizze erano tutte molto strane. Buone. Mentre eravamo in coda ci siamo detti che sicuramente almeno uno dei camerieri era italiano. In particolare ce ne era uno che aveva proprio la faccia da italiano, ma non era italiano.

Prima riga: pizza 6, pizza 2. Seconda riga: pizza 4, pizza 1.

Le pizze erano:

  • N°1: Scampi islandesi, formaggio cremoso al tartufo, cipolle rosse, rucola, rosmarino, basilico e peperoncini.
  • N°2: Anatra marinata, formaggio cremoso, scalogno, arancia marinata, anacardi, peperoncini.
  • N°4: Tonno piccante, jalapeno, cipolle rosse, pomodori ciliegini, rucola e peperoncini.
  • N°6: Salame (piccante, credo), cipolle rosse, pomodori ciliegini, formaggio búri, parmigiano, basilico

La mia preferita era quella con l’anatra: sdoganiamo il pollame sulla pizza, vi prego.

Dopo aver mangiato la pizza, e prima di tornare nel nostro cottage per vedere l’aurora, come da programma ci siamo recati presso la sorpresa divertimento per il compleanno di Giulio.

Estratto dal programma ufficiale del viaggio.

La sorpresa divertimento non può essere descritta a parole:

Parte 1
Parte 2

Aurora, infine

Siamo rientrati in appartamento e abbiamo provato a far partire Harry Potter e La Camera dei Segreti su Netflix, ma la smart TV non collaborava. Abbiamo finito un’altra busta di Smash, e mentre ero fuori casa a fumare ho visto una strana nuvola nel cielo. Ho tirato fuori il telefono e ho inquadrato. Visto il risultato della foto mi sono caracollato in casa per avvisare gli altri.

Eccoci qui. Ph. me

Nel giro di 30 secondi la situazione era diventata:

Ed è a questo punto che abbiamo ringraziato di essere più o meno in mezzo al nulla e abbiamo cercato di raggiungere a piedi un posto lontano dalle luci dei cottage.

All’inizio la situazione era abbastanza tranquilla, l’aurora si stava manifestando “solo” come un enorme striscia verde che percorreva tutto l’orizzonte nord.

Ph. Anna

Poi ha iniziato a muoversi.

Ci teniamo a specificare che le foto sono mosse **perché si muove**. Ph. Davide

Del video si vede poco, ma chiaramente, il movimento veloce e innaturale dell’aurora che suscita in noi grandi emozioni udibili. Sono udibili anche le grandi emozioni di un gruppo di ragazze non italiane a un centinaio di metri da noi che sono state emozionate così per mezz’ora di fila.

Le foto non rendono, e mi direte anche “sticazzi dell’aurora, le foto le vedo ovunque”, e avete ragione ma il reportage è mio.

Comunque a occhio nudo nei momenti di massima luminosità (foto 4) l’effetto era più o meno quello che si vede nella foto 2, con il danzare del video.

Attenuata al punto da essere invisibile, e raggiunta una temperatura corporea prossima all’ipotermia, siamo rientrati in casa, un po’ malinconici dalla consapevolezza che forse una cosa simile non l’avremmo vista più vista per chissà quanto tempo. Per consolarci abbiamo controllato che davvero non funzionasse Netflix sulla tv, poi abbiamo preparato i panini per il giorno dopo. Baguette 1: baguette di gomma, salmone affumicato, formaggio piccante erborinato. Baguette 2: baguette di gomma, jamon serrano, formaggio piccante meno erborinato.

Ipotermia portami via • Giorno 6

Le baguette ci sarebbero servite da sostentamento per l’escursione del giorno dopo, un hiking auto-organizzato alle sorgenti calde di Reykjadalur, vicino a Hveragerdi. Come al solito siamo partiti con il buio, e dopo un paio d’ore di splendidi paesaggi islandesi abbiamo parcheggiato (1000 ISK, 7€) mentre il sole stava sorgendo. Non avevamo ancora visto il sole, è stato bello anche se c’erano una manciata di gradi sotto zero.

Orario della foto: 11:34. Ph. Anna

Reykjadalur

Le sorgenti calde di Reykjadalur sono le sorgenti calde del fiume che attraversa la valle di Reykjadalur (“valle del vapore”). È un trekking di 4 km di media difficoltà, che richiede circa tre ore di camminata, più l’eventuale tempo per fare il bagno alle sorgenti. Quindi si parte all’alba e si torna al tramonto.

Si parcheggia, si fanno 45 minuti di ascesa (400m buoni di dislivello) per raggiungere l’altipiano su cui scorre il fiume, e poi si fanno altri 45 minuti di dolci saliscendi lungo la valle. Se è inverno è tutto innevato/ghiacciato e i sentieri non sono visibili, quindi vietato in caso di maltempo.

L’ascesa sull’altipiano, tra neve e ghiaccio. Ph. Anna.
Risalendo la valle, stavo provando a canticchiare “Sunset lover”. Vd. Anna

Arrivati alle agognate sorgenti Anna e Davide hanno deciso di fare il bagno, mentre io e Giulio abbiamo scelto la vita e i panini.

C’erano passerelle e scalette (coperte di neve) e paraventi per cambiarsi. Ph. Anna poco prima dell’ipotermia.

Nel pianificare il pranzo al sacco ci siamo persi la nozione fondamentale che i panini dopo due ore nello zaino a -6°C tendenzialmente congelano. E infatti dopo circa due ore di trekking a -6°C i panini avevano raggiunto uno stato molto simile a quello delle cose appena tolte dal freezer. Ricordo solo il salato del salmone e il piccantino del formaggio erborinato. Forse è stato un bene non sentire il sapore di quello che stavamo mangiando.

Dopo una ventina di minuti di immersione i due spericolati hanno deciso di uscire, asciugarsi e rivestirsi (all’aperto, all’ombra, con -6, col vento), mentre io e Giulio stavamo ancora mangiando l’ultimo ghiacciolo. Secondo me alla domanda “Lo rifaresti?” la loro risposta sarebbe “No”.

Di ritorno ci siamo goduti il tutt’altro che caldo sole del tramonto, camminando lungo il fiume in questa fredda, bellissima e silenziosa valle islandese.

Ph. Anna

E, naturalmente, anche qui c’era una cascata.

Djúpagilsfoss. Ph. io.

Rientrati al parcheggio siamo collassati su un tavolino del Reykjadalur Café. Io volevo bere un caffè filtro, ma anche qui ho dovuto ordinare un caffè americano, che è esattamente il caffè americano che puoi ordinare in qualsiasi bar d’Italia. In Islanda tantissimi bar e caffè hanno solo la macchina del caffè espresso.

Ci siamo raccolti e siamo andati a fare la spesa da Bónus, che è una specie di Lidl islandese con un salvadanaio a maiale come logo.

Il Bónus di Hveragerdi. Ph. me

Crazy Hveragerdi Nights

Hveragerdi è una cittadina più o meno allo stesso livello di Selfoss, e relativamente vicina a Selfoss, ma con più posticini affascinanti da visitare. È per questo motivo che l’unica cosa che abbiamo fatto a Hveragerdi, oltre al cottage, è stata andare al Bónus.

Il territorio della municipalità è compreso nel sistema vulcanico di Hengill, cosa che spiega le numerose fumarole e sorgenti di acqua calda, nonché il persistente odore di zolfo che aleggia nell’aria. Negli anni ’20 furono costruite le prime serre riscaldate dall’acqua termale, che fanno di Hveragerdi un centro per la produzione agricola. Nel centro del paese c’è un parco recintato dove al posto dei gli alberi e delle panchine ci sono pozze di acqua ribollente e fessure da cui esce vapore sulfureo. C’è anche una cascata, nel centro del paese.

Al Bónus ci aspettavamo di comprare un po’ di merch, magliette, felpe, calze, tutte cose molto ricercate e trendy, più delle cose della Lidl. Purtroppo il Bónus di Hveragerdi aveva solo delle calze natalizie. Prese lo stesso, però uffa.

Al Bónus abbiamo anche visto questa cosa. Se sapere cos’è ditemelo per favore, sono preoccupato:

???

Il cottage di quella sera era elencato su Airbnb come “Beautiful Cottage Hveragerdi”, gestito da Helga. Anche se non l’abbiamo mai incontrata abbiamo capito che Helga è una persona molto precisa, ed è ormai come un’amica.

Se volete anche voi andare al Beautiful Cottage questo video fa al caso vostro. Vd. Helga.

Il Beautiful Cottage era veramente beautiful, anche se non siamo riusciti a capire la situazione tende. Scusa Helga per la tazza rotta.

Ph. Anna

Regole del Beautiful Cottage:

  • Non entrare con le scarpe.
  • Non appoggiare vestiti, valigie o giacche sui letti.
  • Apri la finestra del bagno se fai la doccia.
  • Prima di fare la spesa controlla cosa c’è in dispensa.
  • Gioca ai giochi in scatola forniti dalla casa.
  • NON SALIRE LE SCALE.
  • NON GUARDARE COSA C’È DIETRO LA TENDA IN CIMA ALLE SCALE.

Dopo aver mangiato pasta all’arrabbiata e crostini all’aroma di funghi ci siamo rilassati un po’ giocando a carte e controllando compulsivamente l’app dell’aurora. Verso mezzanotte l’app diceva “aurora forte”, le foto dal paese dicevano “aurora forse”, allora abbiamo tentato la sortita notturna nelle buie campagne Hveragerdesi.

Senza grossi risultati, purtroppo.

Qualcosiina c’è, ma preferisco il caldo. Ph. Me

La mattina dopo ci siamo svegliati che fuori c’era una piccola bufera di neve. Niente di drammatico, come si può osservare nel video:

“Minchia, [il vento] mi sposta”. Vd. Anna.

Abbiamo fatto colazione con del caffè espresso e dei buonissimi prodotti da forno alla locale Almar Bakari e siamo partiti alla volta della penisola di Reykjanes.

Queste auto sono piuttosto comuni in Islanda. Ph. Io.

Lava • Giorno 7

Il programma del viaggio prevedeva che il 30 avremmo fatto qualche escursione spot sulla penisola di Reykjanes, per poi andare a fare il bagno alla Blue Lagoon e chiudere la giornata nella capitale, Reykjavik. Il programma è stato rispettato.

Vulcani in stile islandese

La prima tappa è stata l’area geotermale Seltún a Krysuvik. Per arrivarci abbiamo dovuto fare qualche kilometro di strada bianca, cioè ricoperta da neve fino a 10 cm di spessore. Io dormivo, ma Anna e Davide giurano che non è stato per niente facile, che la macchina scivolava e che le salite erano problematiche.

Strada 42 per Krýsuvík. Ph. Anna.

Giunti a Krýsuvík abbiamo parcheggiato in strada, perché non si capiva qual era l’ingresso del parcheggio e, essendo un’area geotermale, percepivamo il rischio di finire in una pozza di fango bollente come molto concreto. Non eravamo i soli ad avere parcheggiato in strada, c’erano anche due minivan colmi di Weroader italiani. Di comune accordo abbiamo deciso di comunicare a gesti tra noi in maniera da non far sospettare ai 15+ chiassosi italiani che eravamo italiani anche noi. Tre percento, in ogni caso.

Abbiamo fatto una passeggiata ad anello attorno a questa zona geotermale, ammirando le fumarole, le pozze bollenti, e i weroader che tentavano invano di scendere le scale ricoperte di ghiaccio senza scivolare.

Muovendoci verso la Blue Lagoon abbiamo attraversato il paese fantasma di Grindavik. Grindavik è un paio di anni che ogni tanto viene evacuato a causa delle vicine eruzioni vulcaniche. I vulcani in questione sono i tipici vulcani islandesi “a fessura”: ad un certo punto la terra si apre e inizia ad uscire lava. Se sei fortunato la lava scorre allontanandosi dal tuo paese, se sei di Grindavik la lava scorre verso il tuo paese. La domanda naturale è: ok, te la cerchi che costruisci un paese in un posto simile. La risposta informata è che fino al 2021 la zona non eruttava da 800 anni. Che ci vuoi fare.

Dal Post. Grindavik è quella in lontananza, la lava è quella in primo piano.

È possibile attraversare il paese, e anche la strada distrutta dall’eruzione è stata ricostruita. Le barriere di terra a protezione del centro abitato, ricoperte di neve, non si distinguono facilmente dal resto del paesaggio.

In paese non abbiamo visto nessuno. Dalle finestre delle case (in Islanda non si usano le tende) a volte si scorgevano arredamenti e suppellettili, a volte stanze completamente vuote. Un capannone era spezzato a metà, e molti edifici sembravano “arrugginiti”.

Ad ogni incrocio c’era il cartello che indicava l’uscita di sicurezza dal paese.

Grindavik. Ph. me.

Vana la ricerca di un fish&chips aperto abbiamo proseguito verso nord, al nostro appuntamento con la Blue Lagoon.

Lava ricoperta da neve. Sullo sfondo vapore esce dal terreno, probabilmente lava in corso di raffreddamento. Ph. me.

Bagni caldi

La Blue Lagoon è una turistata. Questa piscina è l’opera di un qualche imprenditore intelligente che, nel 1992, ha capito che poteva sfruttare le acque reflue ricche di silicati della vicina centrale geotermica per fare soldi facendo pagare l’ingresso ai turisti. Ha avuto un successo strepitoso, anche se non ha niente a che vedere con i bagni caldi pubblici che si trovano quasi ovunque.

In Islanda c’è questa cosa che ogni comunità ha il suo bagno caldo, che è il luogo in cui gli islandesi si rilassano, chiacchierano tra amici e in famiglia, tutti insieme, donne e uomini, vecchi e bambini. La regola d’oro, affidata al controllo della “shower police”, è che prima di entrare nella piscina devi farti la doccia. Ma non la doccia che facciamo noi alle piscine comunali, apri l’acqua, ti sciaqui un po’ e via, ma una doccia vera, con sapone, rigorosamente nudi e dedicando particolare attenzione alle parti intime: le piscine sono completamente naturali, quindi l’igiene dell’acqua è affidata alla coscienza dei singoli, e alla shower police che non esiterà a redarguirti qualora valutasse non sufficiente la dedizione con cui ti stai insaponando le pudenda.

Quindi a novembre abbiamo prenotato il nostro ingresso alla Blue Lagoon, dove è obbligatorio farsi la doccia senza costume, ma le docce hanno le porte. Phew.

L’ingresso alla laguna, oltre alla possibilità di sguazzare nell’acqua azzurrissima, comprende anche una maschera facciale alla silice e un drink al bar, a cui si arriva a nuoto. La maschera ti viene servita con un mestolo tipo polenta da un addetta, ma a differenza della polenta non è buona da mangiare ed è meglio che non finisca negli occhi.

Blue Lagoon. Bello, lo rifarei. Ph. Davide

La combinazione di acqua silicea e di maschera facciale è stata molto efficace per rendere tutte le nostre pelli lucide e morbide, e tutte le nostre barbe/capelli ispidi e insopportabili.

È stato molto bello e lo rifarei.

Rivestiti e rigenerati abbiamo imboccato la strada 41 per Reykjavik.

Reykjavik

La capitale dell’Islanda è Reykjavik, che nella sua area metropolitana concentra 260.000 abitanti, il 65% dei 390.000 abitanti del paese. Non è una città grandissima, ma comunque è smisurata se confrontata con anche le “grandi città” che si trovano nel resto dell’Islanda. Ha un aspetto molto nordeuropeo, gli edifici sono molto belli, e di inverno le strade e i marciapiedi sono tutti ricoperti di neve e ghiaccio.

Una tipica strada nel centro di Reykjavik. Ph. Anna

Anche a Reykjavik ci sono in monopattini elettrici, e nonostante il ghiaccio per terra la gente li usa lo stesso. Abbiamo controllato, non avevano le ruote chiodate.

L’arrivo a Reykjavik ha coinciso con il punto di arrivo di un trend, iniziato il 26 dicembre, di calo delle temperature e miglioramento delle condizioni meteorologiche. Insomma a Reykjavik faceva freddo.

Una volta fatto il checkin all Fosshotel Baron (quello di ripiego, se ricordate) siamo usciti a cercare qualcosa da mangiare e qualcosa da vedere.

Foto dinamica della Hallgrímskirkja. In primo piano la statua di Sony Ericcson, primo occidentale a sbarcare in Nord America. Ph. Me.
Unico ricordo del fish&chips di Reykjavik Fish, il fish&chips più buono mai mangiato. Ph. Giulio

Dopo aver tentato senza successo di acquistare un caffè post fish&chips siamo andati a vedere questo famoso lungoceano di Reykjavik.

Cose a cui faccio le foto a Reykjavik: il bellissimo portoncino del Ministero delle Finanze islandese, un negozio di golf che punta tutto sull’ira. Ph .me
Sólfar (The Sun Voyager), una scultura di
Jón Gunnar Árnason
. Ph. Me

Dal lungoceano di Reykjavik (Sæbraut, letteralmente “strada del mare”) si vedeva questo strano faro luminoso. “È una discoteca?”. No, è la Imagine Peace Tower, un monumento alla pace e alla canzone Imagine di John Lennon, situata sull’isolotto di Viðey. Boh. 9.5/10 per gli ideali, 4/10 per l’inquinamento luminoso.

Rattrappiti dal freddo ci siamo avviati verso l’hotel, quando all’improvviso un aurora check:

C’è qualcosa di verde nel cielo. Ph. me.

Abbiamo preso l’auto e siamo andati al Gróttuviti, un faro, punto ideale per osservare l’aurora dalla città. C’erano un sacco di altre macchine e un sacco di italiani.

Arrancando tra le alghe ghiacciate, la cui putrefazione era solo rallentata dal fatto che erano ricoperte di neve, percorso che nel complesso è stato un’esperienza sensoriale nuova per tutti e cinque i sensi, ci siamo goduti anche questa aurora improvvisata dalla città.

Aurora da Gróttuviti. Ph. Davide

Pingvellir • Giorno 8

Il programma del 31 dicembre prevedeva originariamente di esplorare la città alla ricerca di cose interessanti da fare e da vedere: il museo fallologico per esempio.

Ma visto che la bufera di Natale ci aveva impedito di fare il giro del Golden Circle abbiamo deciso di farlo il 31, visto che comunque è molto facile da raggiungere da Reykjavik.

Il Golden Circle non è un cerchio e non è dorato. È un insieme di cose molto belle che si possono visitare tutte in una giornata a un’oretta di auto da Reykjavik. Per questo motivo è un giro molto popolare, frequentato anche dai turisti meno avventurosi che magari fanno scalo in Islanda solo per una notte. Il fatto che siano tutte mete molto popolari si capisce sia dall’affollamento generale dei sentieri, sia dal fatto che erano ovunque cartelli “Ghiaccio scivoloso, consigliati ramponi”. Il livello di scivolosità di questi sentieri non era per niente diverso da quelli che avevamo incontrato nei giorni precedenti, i quali però erano molto più remoti e quindi generalmente frequentati da turisti quantomeno preparati ad un certo livello di natura selvaggia.

Un curioso fenomeno comune in Islanda causato dal vento e dalla neve. Ignorate la musica. Vd. Anna.

Gullfoss

Gullfoss è una grande e maestosa cascata sul fiume Hvítá.

Gullfoss all’alba. Ph. Me

A Sigríður Tómasdóttir, una giovane contadina di Brattholt, Gullfoss piaceva molto. Nata nel 1874, lei e le sorelle, quando non aiutavano con la fattoria di pecore della famiglia, facevano da guide per i visitatori che si presentavano alla fattoria per visitare la famosa meraviglia naturale.

Degli investitori, islandesi ed esteri, avevano messo gli occhi sulla cascata e sulla sua gola come punto perfetto per costruire una diga e una centrale idroelettrica. Tómas, il padre di Sigríður, non era interessato a cedere il terreno: “Non vendo gli amici”, riferendosi alla cascata. Nel 1907 i poteri forti riuscirono comunque a far firmare un accordo ai proprietari dei terreni, tra cui Tómas, sembra con una certa quantità di inganno. La costruzione della diga avrebbe sommerso Gullfoss, e questa cosa a Sigríður non piacque affatto.

La giovane che, benché non era istruita, era intelligente e aveva un certo talento artistico (ho visto i disegni: carini, ma non era di certo il Caravaggio), decise di prendere il toro per le corna e intentò una causa contro gli imprenditori che avevano acquistato i diritti sui terreni. Si reco spesso a Reykjavik (a piedi, 120 km) per partecipare alle udienze e per incontrare i rappresentanti del governo, e quando sembrava che l’inizio dei lavori fosse imminente minaccio anche di gettarsi nella cascata.

Il suo impegno scosse l’opinione pubblica, e per quello e per la mancanza di fondi alla fine la diga non venne costruita e Gullfoss fu venduta allo Stato, che nel 1979 ne fece una riserva naturale.

Sigríður è riconosciuta come la prima ambientalista islandese, e il consenso generale è che è grazie a lei che oggi è possibile ammirare questa meraviglia naturale.

Pulmino turistico islandese in configurazione Need for Speed. Ph. me

“Bluop”

La successiva tappa del nostro Golden Circle erano i famosi geyser islandesi. “Geysir” è il nome proprio del più grande e famoso geyser d’Islanda, il termine comune “geyser” deriva — sorpresa — da Geysir.

Oggi Geysir è quiescente. Quello attivo è il suo fratello più piccolo, Strokkur, che è in grado di sparare acqua bollente ad altezze di 20–30 metri. Geysir arrivava anche a 100 metri.

Riuniti assieme a tanti altri turisti abbiamo assistito ad un paio di eruzioni di Strokkur. La prima, da cui il titolo di questo capitoletto, è questa:

Aspettando qualche altro minuto finalmente Strokkur ci ha deliziato con un eruzione degna della sua fama:

Attenti osservatori hanno notato che Strokkur, eruttando, ad un certo punto ha espresso il suo sentimento nei confronti della folla che si era radunata attorno a lui:

Non è da tutti farsi fare il medio da un geyser. Ph. Anna

Pranzando nel vicino ristorante self-service ci siamo informati sull’esatto processo geotermico che causa il fenomeno geyser. Di base i geyser sono profondi sifoni nel terreno riscaldati da camere magmatiche. L’acqua di falda, fredda, riempie i sifoni e si riscalda, non diventando mai vapore a causa della pressione esercitata dalla colonna d’acqua e dal terreno. Quando l’acqua raggiunge temperature critiche inizia a bollire in vapore. Le bolle di vapore risalgono in superficie e causano un alleggerimento della colonna d’acqua. Meno acqua significa meno pressione: il calo improvviso della pressione sull’acqua surriscaldata del fondo del sifone causa l’ebollizione immediata. Tutta l’acqua e il vapore vengono espulsi violentemente dal sifone: è un eruzione! Il sifone poi si riempie di nuovo di acqua fredda di falda, e ricomincia il ciclo.

Mangiati e informati ci siamo rimessi in macchina per raggiungere il parco nazionale di Þingvellir (pronunciato thingvellir), pingvellir per gli amici.

AlÞing

L’Alþing, fondato nel 930 d.C., è considerato uno dei parlamenti più antichi del mondo e rappresenta un elemento fondamentale della storia islandese. Ogni estate, i capi delle principali famiglie dell’isola si riunivano a Þingvellir per due settimane per discutere le leggi, risolvere dispute e prendere decisioni importanti per la comunità. Questa assemblea all’aperto fungeva sia da organo legislativo che da corte di giustizia, dove il Lögsögumaður (il “recitatore della legge”) aveva il compito di memorizzare e recitare tutte le leggi vigenti. Che voglia!

Þingvellir, il luogo dove si teneva l’Alþing, è situato in una spettacolare valle formatasi dalla separazione delle placche tettoniche nordamericana ed eurasiatica, creando un ambiente caratterizzato da spaccature, canyon e formazioni rocciose. A onor del vero tutta l’Islanda si è formata dalla separazione delle placche tettoniche nordamericana ed eurasiatica, la linea di faglia attraversa l’isola creando una fascia particolarmente ricca di vulcani, spaccature nel terreno e sorgenti geotermiche.

Le montagne sulla destra sono sulla placca eurasiatica. Foto fatta dalla placca nordamericana. Nel mezzo la zona di subsidenza. Ph. Anna

Il sito mantenne il suo ruolo di parlamento fino al 1798, quando l’assemblea fu temporaneamente sospesa sotto il dominio danese, per poi essere ristabilita a Reykjavík nel 1844. Oggi Þingvellir è un parco nazionale e patrimonio dell’UNESCO, simbolo dell’identità nazionale islandese e testimonianza tangibile della sua antica tradizione democratica.

Abbiamo iniziato il nostro percorso scendendo nella gola Almannagjá, che è il margine orientale della zona di subsidenza tra le due placche tettoniche. Almannaggia è nella mia personale top 10 dei toponimi mondiali.

A sinistra, discesa in Almannagjá, ph me. A destra schema tettonico della zona, ph. thingvellir.is.

Seguendo il sentiero abbiamo raggiunto la cascata (perché cosa sarebbe Þingvellir se non ci fosse una cascata?) di Öxarárfoss. Il fiume Öxará riempie parte della profonda gola, quindi d’estate si possono anche fare immersioni alla scoperta della faglia subacquea. Cose notevoli incontrate lungo il sentiero:

  • La residenza estiva del Primo Ministro dell’Islanda.
  • Le fondamenta delle capanne che si usavano durante le riunioni dell’AlÞing, purtroppo non visibili in quanto sepolte da diverse decine di centimetri di neve.
  • Lögberg, il grosso affioramento roccioso da cui Lögsögumaður declamava le leggi, e dal quale venne proclamata la Repubblica d’Islanda. C’era un pennone dal quale in teoria sventola la bandiera islandese, ma che quel giorno era spoglio. Peccato, sarebbe stata una bella foto.
  • Drekkingarhylur, la zona del fiume dove era facile far affogare i condannati a morte (drekking = affogamento). Crimini come l’adulterio o la violenza erano puniti severamente.
  • Stekkjargja, la gola dove veniva eretta la forca (stekk = forca) con cui impiccare altri condannati a morte (ok, avevano il parlamento, ma erano pur sempre vichingi).

Öxarárfoss era ghiacciata, ma sotto il ghiaccio l’acqua scorreva lo stesso. Cascata molto bella, d’estate probabilmente da più soddisfazioni.

Öxarárfoss. Ph. Davide.

Raggiunto il termine del sentiero le nostre estremità iniziavano a subire le temperature estremamente basse, quindi abbiamo fatto il percorso a ritroso per raggiungere l’auto.

Faceva freddo. Ph. Davide
Il lago Þingvallavatn al tramonto visto dalla sommità di Almannaggia. Ph. Anna

A small bonfire

Rientrati al Fosshotel ci siamo preparati alla notte di capodanno: doppio strato di tutto perché c’erano -16°C e saremmo stati all’aperto per un bel po’. Nei giorni precedenti avevamo prenotato un tavolo in un “gastropub” chiamato Sæta svínið. More on that later.

Prima del pub però avevamo in programma di visitare uno dei tradizionali falò di capodanno islandesi. Gli islandesi il 31 dicembre hanno l’abitudine di accendere questi grossi falò, e riunirsi attorno ad essi per un po’ prima di rientrare e guardare alla RÚV l’equivalente islandese de “L’Anno che Verrà”. I falò nella zona di Reykjavik sono organizzati dal comune per ovvie ragioni di sicurezza. Quello più vicino a noi era dall’altra parte della città, a una 40ina di minuti a piedi, su un’altro lungoceano, ed era classificato come “small bonfire”.

Tipico scorcio delle vie residenziali di Reykjavik. Ph. Anna

Alla fine il bonfire tanto small non era:

“Small bonfire”. Ph. me.

C’erano molti turisti, ma c’erano anche tantissimi reykjavikesi: i turisti li riconoscevi perché facevano fotografie, alternatamente al falò e al cielo. Infatti, mentre il bonfire bruciava, nel cielo si stava manifestando la piccola tempesta geomagnetica che la sera prima ci aveva regalato un po’ di emozioni.

La presenza di tanti islandesi, mai visti così tanti in una volta sola, ci ha incuriosito. Tra le cose osservate anche la sensata e logica sostituzione dei passeggini per bambini con degli slittini:

Perché tanto di inverno è tutto neve o ghiaccio, il passeggino non ci provi neanche. Ph. Anna

Abbandonati gli islandesi al loro falò, e domandandoci quanto potesse essere large un large bonfire, se questo era small, ci siamo incamminati verso Sæta svínið, che in islandese significa “Il porco felice”:

Io ed il porco felice, il porco felice ed io. Ph. Anna.

Da Sæta Svínið abbiamo mangiato dei buonissimi ed antieconomicissimi hamburger, che erano veramente buonissmi e antieconomicissimi. C’erano in vendita anche le magliette ma abbiamo deciso che eravamo a posto così (mica per il 30€ di maglietta, il problema era che non avevamo zaini dove metterle, cosa credete).

Da Sæta Svínið. Ph. me.

A questo punto si erano fatte le 23: una passeggiata sul lungoceano per buttare giù la cena e poi andiamo in piazz… ehi, ma, guardate in alto!

**In pieno centro città**. Ph. Me

Questa volta l’aurora era veramente luminosa, oltre che essere esattamente sopra di noi. Siamo andati sul lungoceano, dove, circondati da altri italiani (tre percento), ci siamo fatti un po’ di foto con l’aurora.

Noi e l’aurora. Ph. varie

La foto più bella alla fine l’ha fatta Anna:

L’aurora e la peace tower si stagliano nel cielo riflettendosi nelle acque della baia di Reykjavik. Ph. Anna

Ci siamo mangiati le mani per non essere in un posto più buio, e, evitando i fuochi di artificio che quei pazzi di islandesi avevano già iniziato a sparare ad altezza uomo, ci siamo avviati verso la Hallgrímskirkja per lo scoccare della mezzanotte.

23:41 a Reykjavik. Vd. Me
00:02 a Reykjavik. Vd. Anna

Nel frattempo l’aurora se ne sbatteva del fatto che fosse scoccata la mezzanotte e continuava ad imperversare, facendo capolino tra le nuvole di fumo.

Aurora in città. Ph. Anna

Nella stessa piazzetta della foto ho assistito alla commovente scena di una madre di famiglia che porge al figlioletto minore di anni 6 un pacco enorme di fuochi d’artificio incoraggiandolo ad innescarli.

Con quest’immagine abbiamo bevuto una birra all’irish pub e siamo andati a dormire mettendo il punto a questo lunghiiissimo giorno 8 che è letteralmente due giorni che sto scrivendo.

L’ultimo colpo di coda dell’Islanda • Giorno 9

Lunedì 1 gennaio, come tutti i 1 gennai che si rispettano, era tutto chiuso: il sia museo fallologico sia il posto buonissimo dove fanno il pesce che ci avevano consigliato tutti. L’unica cosa che ci rimaneva da fare era visitare l’affascinante Perlan, il più grande museo di storia naturale d’Islanda (l’unico?).

Reykjavik all’alba delle 11:40. Mi dispiace veramente non avere questa foto senza le sovraimpressioni della instagram story. Ph. me.

Appena entrati al Perlan ci ha accolto una guida chiedendoci in inglese se avevamo già acquistato i biglietti. Il nostro “no” evidentemente ha richiamato in lui ricordi di casa perché ha iniziato immediatamente a spiegarci in spagnolo che i biglietti si potevano comprare al banco li sulla destra, e che una volta acquistati saremmo dovuti tornare da lui per entrare nel museo. Abbiamo capito tutto nonostante nessuno di noi parlasse spagnolo. Abbiamo ringraziato in spagnolo.

Perlan

Il Perlan è un museo di storia naturale che si trova su una collina nella parte meridionale della città, e dal quale si gode di una vista a 360 sulla città e sul golfo formato da Reykjanes a sud, e da Snæfellsnes a nord (entrambe penisole, da cui presumo il suffisso -nes).

La prima tappa consigliata nella visita museale è una timeline della storia naturale (e non) dell’Islanda, dalla deriva dei continenti fino ai giorni d’oggi, passando per i vari Alþing, terremoti, carestie, eruzioni apocalittiche, guerre del pesce (in inglese cod wars), etc.

Nella stessa zona c’è un’interessante campionamento di tutti i tipi di rocce che si possono trovare allo stato brado, e loro formazione. In un altro angolo di questo piano ci sono numerosi mammiferi ed uccelli impagliati a dimostrare la varietà di fauna presente sull’isola, più la riproduzione di una scogliera, unico luogo in cui abbiamo visto i famosi puffin (Pulcinelle di mare), seppur di plastica.

L’ingresso dava anche diritto all’ingresso allo show Áróra nel planetario del museo, che è un video (bello, c’è da dire) che racconta dell’aurora sulla terra e nel sistema solare. Áróra infatti è il nome islandese dell’Aurora. Bello, ma forse un po’ povero di scienza, e il buio e le poltrone reclinate hanno fatto strage di pisolini improvvisati.

Il Perlan vanta anche la riproduzione di una grotta di ghiaccio, a temperature naturali! (-10/-15°C) Bella anche questa, ma (1) assomiglia troppo ad un freezer da sbrinare e (2) avevamo già visto una grotta di ghiaccio vera. Cosa più interessante di questa sezione del museo è la mostra sui ghiacciai e sul loro inesorabile scioglimento, che oltre a fornire una mappa dettagliata di ogni singola lingua glaciale dell’isola permette anche di farsi una cultura sui vari tipi di ghiacciai esistenti. C’è anche un grande schermo a tavolo su cui ammirare come tra un centinaio di anni di ghiaccio ne rimarrà ben poco. Triste, ma vero.

Cos’è una ice cave senza ice throne? Ph. Giulio e Dab.

Al termine di tutto si sbuca sulla terrazza panoramica a 360°, da cui si può godere della famosa vista panoramica sulla città.

Reykjavik, in primo piano. Sullo sfondo al centro Akrafjall (montagna). Sullo sfondo lontanissimo a sinistra Snæfellsnes. Ph. me.

Scesi da li abbiamo decretato troppo caro il ristorante del museo e ci siamo diretti, mesti verso l’auto. Nel parcheggio del museo abbiamo scoperto che le pozzanghere di acqua liquida, fatto in sé già sospetto, erano calde. Apparentemente anche nel parcheggio del Perlan c’è una sorgente di acqua calda.

Arrivati in aeroporto abbiamo salutato la nostra fidata cavalcatura islandese e ci siamo incamminati verso l’Italia.

Le facce di chi sta per tornare in Italia, con la nostra fida Toyota Rav4 4x4, indomita destriera compagna di mille avventure e che non teme nessun tipo di ghiaccio. Ciao Rav, un giorno ci incontreremo di nuovo. Ph. Anna.

Arrivederci

In aeroporto abbiamo potuto sperimentare sulla pelle quella sensazione descritta da Edoardo Ferrario (3:40): già al gate quei pezzi d’Italia, che avevi dimenticato, che non importa quanto lontano fossi andato ti si ripresentano, li di fronte, prepotentemente, come se fosse un atterraggio prima dell’atterraggio. Un saluto alle due sorelle milanesi che ci hanno rinfrancato lo spirito tentando di imbarcarsi due volte con la stessa carta di imbarco.

I nostri “tre percento” si trasformavano da goliardica frecciatina a doccia fredda di consapevolezza di quello che stava per succedere. Decollando ho fatto foto fuori dal finestrino, dove, ancora nel blu del crepuscolo, danzava verde l’aurora, noncurante della nostra partenza.

L’ultima aurora dell’Islanda. Italiani malinconici riflessi. Ph. Me.
Arrivederci Reykjavik, a presto. Ph. me

Atterrati a Malpensa siamo usciti dall’aereo, e, stupiti dal fatto che non fosse necessario mettersi giacca, cappello e guanti per sopravvivere, ci siamo girati un’ultima volta verso l’aereo che ci aveva appena riportati a casa:

Davide incastrato dagli altri passeggeri mentre noi siamo già giù. Ph. me.

Fine.

Ipotermici, con i baffi ghiacciati, ma felici, con Gullfoss. Grazie gnari della vacanza. Quando ci torniamo? Ph. Me.

Appendice linguistica

L’islandese è una lingua affascinante ma dannatamente difficile, tant’è che nonostante gli islandesi borbottino del fatto che con tutti questi stranieri (lavoratori e turisti) ormai l’islandese lo si parli relativamente poco, alla fine tollerano l’inglese.

È considerata una delle più complesse lingue germaniche e presenta tre generi, quattro casi e due numeri. I verbi sono coniugati per tempo, modo e persona, e ci sono una marea di irregolarità.

Ci sono delle simpatiche lettere extra, che anche se assomigliano a delle lettere accentate non lo sono, sono proprio lettere diverse: ö, æ (pronunciata ahi!), þ (la th di “thing” inglese) , ý, á, ú, ó, é, í, e la mia preferita ð (la th di “there” inglese).

Questa appendice comunque serve a migliorare la rigiocabilità di questo reportage dandovi il power up del manuale dei suffissi! (preso da qui)

-á — suffisso per fiume o corso d’acqua, come Jökulsá

Bær — paese, come Garðabær o Mosfellsbær

Braut — strada intesa come “road”, come Sæbraut, il lungoceano di Reykjavik.

Brú — ponte

Byggð — insediamento

Dalur — valle

-ey — suffisso per isola, come Heimaey, Grímsey, o Drangey

Fljót — fiume, come Lagarfljót (che è anche un lago)

Fjörður — fiordo

Foss — cascata, come Gulfoss, Svartifoss, o Seljalandsfoss

Gata — strada intesa come “via”

Höfn — porto o luogo portuale, come il villaggio Höfn

Holt — valletta, piccola valle, come Reykholt

Hraun — lava

Jökull — ghiacciaio

Kirkja — chiesa

Klaustur — convento

Laug — specchio d’acqua

-nes — un capo o una penisola, come Reykjanes

Reyk — fumo, come in Reykjavík

Sandur — le tipiche piane alluvionali glaciali islandesi

Staðir — un posto, come il paese di Egilsstaðir

Vegur — strada, come Hringvegur (la Ring Road)

Vogur — baia, cala, golfo, come in Kópavogur

Vatn — acqua, usato per i laghi come Þingvallavatn

Vellir — campi, come Þingvellir (i campi dell’AlÞing)

Vík — baia, cala, golfo, come in Vík í Mýrdal (a.k.a. Vík)

Nella mia testa risuonano gli echi di una versione islandese del Gioca Jouer:

Kopavogur! Pippipiripi pippi piripi pippi piripi pi pi. Vatnajökull! Pippipiripi pippi piripi pippi piripi pi pi. Fjaðrárgljúfur!

Mi fermo qui.

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Fabrizio Mele
Fabrizio Mele

Studente, dev @ monade.io, podcaster. Curo Il Podcast di Alessandro Barbero, mi piacciono xkcd, i gatti, e le serie tv in lingua originale. — Desenzano BS

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